Con queste righe, che spero apprezzerete, concludo una serie di articoli intitolata “Trilogia dell’ispirazione” e dedicata a tre grandi fotografi in cui mi riconosco totalmente e che ben rappresentano, anche in ordine cronologico, la storia del mio percorso.
Quando ho scoperto il “full color” di Franco Fontana ero nel pieno del fervore per la ripresa a colori del paesaggio naturale. Una coincidenza significativa che si è ripetuta anni dopo nel momento in cui mi sono imbattuto nella creatività stilosa di Jeanloup Sieff: a quel punto mi sentivo ormai pronto per allargare i miei orizzonti verso generi, come il fashion e il ritratto, che fino a quel momento avevo del tutto ignorato.
La devozione assoluta verso l’opera del britannico Michael Kenna, invece, si è sviluppata in un secondo tempo e con maggiore lentezza. Il suo straordinario rigore estetico mi ha sedotto poco a poco e alla fine mi ha soggiogato del tutto.
Mi sono chiesto il perché di questa empatia fortissima con le sue immagini. Riflettendoci credo sia riconducibile a due fattori sostanziali: l’amore incondizionato per il paesaggio ed una sensibilità per le geometrie assolutamente basilare.
Mi ha condizionato a tal punto che ho ceduto alla tentazione di pubblicare alcune gallerie del mio sito internet come omaggio, sicuramente indegno, ai capisaldi della sua ricerca estetica: il bianco e nero, il formato quadrato, l’essenzialità compositiva.
Kenna appartiene a quel prestigioso filone di immensi artisti che hanno fatto del bianco e nero un metodo totalizzante praticato con un purismo di alta scuola.
La sua carriera è iniziata in modo cristallino, d’altronde, prestando servizio come stampatore personale di un’affermata fotografa. Non poteva cominciare meglio.
La scelta rigorosissima del banco ottico, la prediletta Hasselblad, ha successivamente sugellato la sua manifestazione di intenti. Tutti presupposti di una filosofia di lavoro dai connotati artigianali che oggi ormai ha il sapore della rarità.
Vorrei tentare di sintetizzare l’essenza di tutto il suo progetto artistico riconducendolo ad una semplice definizione, forse addirittura ad un solo termine.
Anche questo è in qualche modo un omaggio: alla sua capacità di sintesi. Perché la sintesi è un esercizio difficile, nella vita come nell’arte. Ho cercato sempre di praticarla e la sento ancora più indispensabile nell’epoca attuale della fotografia digitale, così lontana dalla sobrietà.
Guardo con crescente assuefazione le mirabolanti performances fotografiche degli innumerevoli paesaggisti contemporanei, virtuosi di tecniche sicuramente complesse – ma oramai anche molto popolari – come le lunghe pose, gli star trail, gli HDR, le fotocomposizioni posticce e quant’altro.
Un tempo veri privilegi tecnici di pochi artisti ricchi di competenze analogiche che erano il frutto di anni di pratica faticosissima, oggi pane quotidiano di migliaia di divoratori di tutorials sparsi nell’etere.
In confronto l’approccio contemplativo di Kenna mi appare come un bizzarro esercizio d’autore. Ecco, potrei definirlo come il Maestro della raffinatissima e alquanto difficile arte della SOTTRAZIONE.
Nessuno come lui riesce ad ottenere dalla fotografia la massima densità espressiva effettuando una micidiale sottrazione di elementi.
Kenna è il monaco zen di un metodo di ripresa fotografica dalla precisione farmaceutica. Toglie quasi tutto dall’inquadratura eppure gli riesce una magia che mi emoziona profondamente: quella di far vibrare l’immagine, di renderla toccante, modulando esclusivamente gli equilibri compositivi.
Il suo segreto, alla fine, è proprio questo: la capacità di bilanciare vuoti e di pieni. Rifugge la trascrizione, si muove agilmente nella penombra del crepuscolo e dell’aurora, quando le interazioni tra luci e ombre raggiungono la massima intensità e può effettuare pose fotografiche lunghissime, uno dei suoi marchi di fabbrica.
Ma se in molti ricorrono alla lunga posa per realizzare fondali straordinari che trovano un semplice pretesto negli elementi di primo piano, Kenna allunga i tempi di esposizione per uno scopo diametralmente opposto, quello di impastare le masse d’aria ed i fluidi, fino a renderli assolutamente indefiniti, quasi evanescenti.
Il risultato? La stesura di un poetico velluto di luci, una base morbidissima e pregiata su cui adagiare il diadema prescelto per l’occasione: un albero, una costruzione, un oggetto o semplicemente un profilo di cui Kenna vuole esaltare la valenza estetica più sostanziale, proprio grazie alla rispettosa funzionalità dello sfondo.
Ogni meravigliosa immagine è un invito ad amare la bellezza nella sua manifestazione più essenziale. Un gioco di linee e di masse strutturato sulle ombre, dense e assolute, nerissime, vera ossatura portante di ogni sua idea fotografica.
Ho sicuramente un cruccio, quello di non avere visitato le mostre italiane. Kenna ha fotografato molto nel nostro Paese, in Emilia Romagna, in Toscana, in Veneto, in Abruzzo al quale ha dedicato uno dei lavori più recenti.
Vi consiglio di acquistare proprio il volume dedicato a questa splendida Regione. Custodisce immagini dal taglio personalissimo raccolte in località tra mare e Appennino, nei paesini e in natura. Luoghi spesso noti di cui l’autore ci racconta suggestioni filtrate dal suo stile inconfondibile capace di tradurle in atmosfere sospese e quasi fatate.
E’ impossibile scegliere tra i suoi scatti quelli che preferisco. Ricordo piuttosto la vertigine provata la prima volta che ho ammirato il magnifico lavoro sulla centrale elettrica di Ratcliff, in Inghilterra.
Rimasi sorpreso da queste inquadrature di una semplicità disarmante eppure di enorme impatto visivo. La fissità delle imponenti ciminiere dell’impianto, così inquietante, viene compromessa dai fumi che Kenna ha sapientemente ritratto con una posa fotografica lunghissima. E così i densi pennacchi sembrano tradire una spiazzante vitalità latente.
Forse il talento più profondo di Michael Kenna risiede proprio nella capacità di scovare quell’anima del paesaggio che sfugge alla nostra coscienza ma che, a conti fatti, pare costituirne il vero cuore pulsante.
Ecco perché mi piace immaginare questo grande autore come un monaco zen della fotografia di paesaggio. Nel suo lavoro la bellezza è il tramite per toccare un livello superiore di contemplazione.
Nella mia Trilogia equilatera dell’ispirazione fotografica Michael Kenna occupa un posto centrale, tra il nodo razionale di Fontana e quello eclettico di Sieff. Kenna è il punto di incontro di due istinti fortissimi che sono alla base della mia voglia di fotografare: l’equilibrio formale e l’essenzialità.
2 Comments
It was fun to read your article.
Many thanks!